eventi climatici catastrofici

Prima delle osservazioni scientifiche con taglio metodico sono poche ed episodiche le notizie relative alle vicende atmosferiche; riguardanti di solito fatti eccezionali, o addirittura catastrofici, e che possono storicamente assegnarsi alle vicende della mentalità più che del clima, anche perché possono dirsi più precisamente percezioni che non notazioni climatiche. 

L’inverno del 1404

I proimo evento di cui si ha memoria e che ebbe pesanti conseguenze nell’assetto economico du il freddo dell’inverno del 1404.

Una prima testimonianza viene riportata da Andrea Cittadella nella sua Descrittione di Padoa del 1605. Qui, riferendosi al territorio di Teolo, egli ricorda come per la tempesta di S. Marco 1404 morirono quasi tutte le viti, et il 1456 nel suo Verno nevi, e freddi tali furono, che non si poteva per due mesi transitare, e dannificò diversi casamenti con morte di molte piante, animali, e persone, e più della mità in piano. Nella stessa opera si fa riferimento ad un fatto metereologico specifico e locale che sembra presentare una certa continuità: ci riferiamo, cioè ai fenomeni di turbolenza atmosferica particolarmente attivi sugli Euganei ed intorno al Monte Venda. Così si esprime il nostro autore a proposito del Venda monte dove spesso la tranquillità turbandosi manifestano strepitosi tuoni, spaventosi lampi e foribonde pioggie con densissime grandine. Questa percezione del luogo come soggetto a tali fenomeni, oltre al proverbio citato che fa dell’esperienza visiva del monte quasi una sorta in indicatore atmosferico,

in piano: A. Cittadella, Descrittione di Padoa e suo territorio, Padova 1605, (Edizione curata da Don Guido Beltrame nel 1993), p. 116.

grandine: Cittadella, Descrittione di Padoa, p. 125.

Eventi e ritualità propiziatorie

Alla fine del Seicento una testimonianza dell’arciprete di Arquà (redatta per la verità nel 1779), ci fa capire come la religiosità popolare interpreti questi eventi come segni divini che obbligano a ritualità propiziatorie. In occasione della Visita pastorale di quell’anno egli espone al Vescovo come nel 1686 – un giorno di luglio, il 29, festa di S. Maria Vergine – per un fiero turbine che sterminò tutto questo Paese nelle Case, Animali, Alberi vivi … e morte molte persone, gli Antenati nostri fecero pubblico voto di santificare ogn’anno lo stesso giorno in onore di detto santo a preservare da simili disgrazie. La tradizione – aggiunge l’Arciprete – è condivisa dalle altre due ville vicine di Battaglia e Valle San Giorgio.

Dall’altra parte degli Euganei, in quei medesimi anni, il 3 maggio del 1672 fu fatto dai due Communi di Bastia e Rovolon un solenne voto a S. Antonio… di far festa di precetto tutti li Martedì di Maggio in perpetuo e di far Messa cantata in ogn’uno di tali giorni, acciocchè coll’intercessione del suddetto Santo, Iddio tenga lontane le tempeste.

disgrazie: ACVP, CIII, c. 89v.

tempeste: ACVP, CI, c. 159r.

Acquaforte di Giuseppe Maria Mitelli (1634-1718) che rappresenta le terribili conseguenze dell'anno 1709 (Milano, Raccolta dele stampe di Achille Bertarelli)

L’inverno del 1709 che distrusse le viti in gran parte d’Italia

Un altro evento che lascerà una traccia profonda sarà il freddissimo inverno del 1709. Da lì prenderà avvio, o meglio si radicherà definitivamente anche per il vino nei nostri monti una fase caratterizzata dal netto prevalere dell’aspetto quantitativo della produzione e dall’imporsi impellente della bevanda come sostegno alimentare conseguente all’impoverimento progressivo del vitto – come ha dimostrato il Sereni. In quell’anno andarono distrutte gran parte delle viti in Italia e nell’opera di reimpianto le classi rurali si erano affidate di preferenza a varietà abbondantemente produttive, senza particolari attenzioni alla qualità cosicchè si realizzava in ogni zona la diffusione di una miriade di vitigni e si concretava un altro aspetto negativo del sistema.

La rigidezza di quell’inverno fu un fatto generale in Europa ed un testo del curato di un paesino della Francia ci dà un’immagine impressionante dell’evento climatico: … tutto quello che era stato seminato andò completamente distrutto. Il disastro fu di tali proporzioni che… la maggior parte delle galline morì di freddo, e cosi pure le bestie nelle stalle. Al poco pollame sopravvissuto si vide congelare e cadere la cresta. Molti uccelli, anatre, pernici, beccacce e merli morirono e furono trovati stecchiti sulle strade e sugli spessi strati di ghiaccio e di neve. Querce, frassini e altri alberi di pianura si spaccarono per il gelo...e così pure le viti.

Sereni E., Per la storia delle più antiche tecniche e della nomenclatura della vite e del vino in Italia, in Terra nuova e buoi rossi e altri saggi per una storia dell’agricoltura europea, Torino 1981, p. 101-214.

sistema: Calò A., Tradizioni nel Piemonte e nel Veneto: esempi per un tentativo di interpretazione della nostra storia vitivinicola, in Storia del vino, a cura di P. Scarpi, Milano 1991, p. 112

 fatto generale in Europa: Il brano è riportano in Le Roy Ladurie, Tempo di festa, tempo di carestia. Storia del clima dall’anno Mille, Torino 1982, p. 99.

Scrive il Gennari: "...orribile fu a vedersi volare i merli delle muraglie e le lamine di piombo asportate dal turbine a notabile distanza...

Il turbine di Padova del 17 agosto del 1756 

Esemplare in questo senso la vicenda del turbine che determinò lo scoperchiarsi del tetto del Salone, fatto che molto impressionò i padovani.
In quel martedì di agosto del 1756 il turbine attraversò anche i Colli Euganei e a Carbonara determinò lo scoperchiarsi della Chiesa. 
Per il Toaldo il turbine del 17 agosto 1756 diveniva il “turbine di Padova” per antonomasia.
del turbine di Padova parla il 
Verrua P., La memoria a Padova e la notizia a Venezia, nelle Marche, a Roma, a Lisbona del turbine del 17 agosto 1756, 1 (1931), n.s., n. 4, p. 197-204.
 
L’evento è riportato anche in: Gennari Giuseppe, Lettera ad un amico lontano intorno alle rovine causate al Palazzo della Ragione di Padova dal turbine del dì 17. d’agosto 1756, Padova 1756.
 
 

Un secolo drammatico: il Settecento

C’è un sotterraneo legame tra clima ed eventi politici. Alcuni storici evidenziano come il susseguirsi di stagioni negative nel corso del’700 furono premessa remota al peggioramento delle condizioni economiche della popolazione francese che contribuì allo scoppio dell’evento rivoluzionario. Lo storico del clima Le Roy Ladurie annota come il surriscaldamento del 1788 (per cui i chicchi di grano avvizzirono) determinò l’anno seguente quel rincaro del pane, il più consistente di tutto il secolo, che portò ai tumulti che accompagnarono gli eventi politici.

Anche nei Colli il ‘700 pare un secolo particolarmente tormentato. Toccante è la testimonianza lasciataci dal Parroco di Cervarese don Cristoforo Zaro. Dalle sue note segnate nei Libri dei nati e dei morti – egli fu Parroco dal 1756 al 1782 – emerge la grande penuria ed il progressivo deteriorarsi delle condizioni dei suoi villici cosicchè la fame si fa sempre più impellente tanto che ricorda di come in diversi posti si sono amutinate le comunità per dilapidar li granari e lo stesso Conte Trento abbia assunto una scorta di ben 80 uomini per custodire i suoi granai in Cervarese. Terribile fu il 1772 a causa di una grande inondazione che cominciò il 16 ottobre del ’71 con un susseguirsi fino a giugno di ben 17 brentane, le quali allagarono tutte le praterie… con il sterminio totale dei formenti. Non resta che implorare con pubbliche orazioni – egli conclude. Don Zaro annota inoltre due episodi estremi come la fioritura di cui giunge notizia il 10 gennaio del 1765 da Galzignano delle brombe grosse come pallinoni, le cerese biancoline grosse anche queste come le brombe, le viti spuntar il verde e con le foglie l’uva. Qualche anno prima, il 6 gennaio 1760, aveva nevicato per 7 giorni cosicchè in certi luoghi la neve è alta più d’un piede e ghiazzata, così che fa temere della mortalità delle viti e poscia sopra giunse altra neve che più non s’arricorda tanta in anni 60i.

Verso la fine del secolo un altro evento climatico sembra dare il colpo di grazia ad un elemento secolare dell’economia euganea: si tratta dell’olivo. Nelle Relazioni dei rettori Veneti di terraferma si parla della desolazione e dello sconforto in cui trovasi la numerosa popolazione dei Monti Euganei e per le angherie cui sono sottoposti dal nuovo conduttore del dazio sull’olio, vuoi per gli effetti terribili della passata rigida stagione invernale (si riferisce all’inverno 1788-1789) che ha fatto perire molte di quelle piante tanto che – si conclude nella Relazione – non saprei promettere che a poco a poco non avesse a svanir interamente l’amor della coltura medema con danno dell’erario e depauperamento d’un popolo che da esso riconosce gran parte del suo sostentamento.

annota:  <https://www.peacelink.it/ecologia/a/5630.html> 10 agosto 2023

granari: I documenti sono riportati in G. Degan, Don Cristoforo Zaro Parroco a Cervarese S. Croce dal 1756 al 1782. Cronaca e vita nella seconda metà del settecento, 1990, dattiloscritto, p. 5.

formenti: idem, p. 11

l’uva: idem, p. 6

anni 60: idem, p. 11

sostentamento: Relazioni dei Rettori Veneti in Terraferma, IV, Podestaria e Capitanato di Padova, Milano 1975, p. 680.

L’uragano del 16 maggio 1856

Dell’uragano di rara potenza che il 16 maggio 1856 investì la zona di Baone e Monte Ricco, riversandosi poi nei campi di Pernumia, Maserà e paesi limitrofi, appena pochi giorni dopo che il Canale di Battaglia aveva rotto l’argine a Mezzania, allagando circa 20 mila campi. Il governo del Lombardo Veneto aprì una colletta di sussidi “a favore della numerosa popolazione contadinesca rimasta senza tetto e in preda alla più squallida miseria per gli orribili guasti provocati dall’uragano” [“Italia e Popolo. Giornale politico”, 6 (1856), n 151, 1giugno 1856, p. 576].

allagando: vedi Fanzago Filippo, Fotografia di Padova nel 1856, Estratto dalla “Rivista Euganea”.

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